Antonio Celano

Posts Tagged ‘Alfabeto

C: Confessione

leave a comment »

Eccolo Nettuno. Perché c’è un momento dove si raggiunge, in quel silenzio e in quel freddo estremi, il confine di noi stessi, la verità ultima di ciò che si era stati senza volerlo sapere con chiarezza, e comunque ciò che si è. E spesso i consuntivi non sono così brillanti, così lodevoli. Si potrebbe scoprire, per esempio, che si è vissuto, per anni, di stupide piccole gratificazioni, di legami intercambiabili purché funzionali ai propri egoismi, di fantasie. Di finzioni, solo perché la solitudine ti accartoccia e tu proprio non sai fare che come un animale mentecatto.

Eppure, eccolo là Nettuno. Il confine. Dove tornare significa restare e dove andare oltre significa solitudine. Forse un giorno incontrare un solo legame che sia vero, oltre ogni finzione. Il problema è riconoscerlo. Ma, appunto, si può solo se si è sofferto sufficientemente tutto il ghiaccio che è possibile sopportare.

 

Written by antoniocelano

ottobre 15, 2020 at 7:29 PM

Pubblicato su Senza categoria

Tagged with

A: Alba. Forse un tramonto

leave a comment »

Che cosa c’è nella luce del mattino? Cosa scorre nelle dita? Cos’è la vibrazione di una vecchia campana di paese? Guardo, dalla pianura, raggiungermi le prime esplosioni di raggi al sodio valproato, fumi sollevarsi dagli stagni delle benzodiazepine, i giochi intricati d’ombra e polvere del bromidrato tra gli alberi del bosco e dei sogni. Sì, confesso che ho pianto lacrime al glicole propilenico: ero arrotolato tra lenzuola di cellulosa microcristallina, insonne su cuscini di polivinilpirrolidone acetato. Ma potrete perdonarmi, forse, se ho scoperto che è inutile inseguire se stessi, guardare la propria schiena bagnata di sudore, poggiarci la mano per non perdersi o cadere, e invece, cieco come in una tela fiamminga? Se è inutile mandare a memoria le colline serpentiformi dell’Erg, se sotto i sassi del deserto battriano ci sono gli scorpioni, se tra i crepacci s’incastrano ghiacci come sfilacci di prosciutto tra i denti?

Written by antoniocelano

ottobre 14, 2020 at 6:16 PM

Pubblicato su Senza categoria

Tagged with

L: Livorno

with one comment

Fuoco

Alla stazione di Livorno ci arrivai la prima volta una notte del ’77. Dal treno, scendemmo io, mio padre e uno dei suoi cani. Sul marciapiede fantasma, forse senza pensiline, ci schiaffeggiò un umido salmastro e il puzzo di piscio che saliva sonoro dai binari, nonostante il freddo. Più avanti, sulla stessa banchina, bivaccavano solo tre capelloni (così, almeno, in quell’Italia in preda al panico morale) buttati per terra. Parlottando, si scaldavano alla fiamma generata dal compensato di cassette per la frutta. Un ferroviere li guardava senza cura.

Written by antoniocelano

dicembre 30, 2012 at 8:56 am

Pubblicato su Senza categoria

Tagged with

P: Polistes dominulus

leave a comment »

«Ti spiego. Io stavo già scrivendo la tesi, però venivo qui dalla Specola ad aiutare questo collega che stava iniziando alcune osservazioni su episodi di homing in una comunità di Polistes dominulus. Vespe, insomma. Sarà stato nell’Ottantacinque, credo. Qui non era come adesso: i capannoni industriali erano davvero pochi, tutt’intorno c’era spazio libero. Prati, insomma. Spesso si andava anche più in là, verso Focognano.

Come si preparava l’esperimento? si catturava un nido e si collocava sul soffitto di una cassettina alta e lunga una quindicina di centimetri, più o meno, e posta su un sostegno. Un palo metallico, insomma. All’inizio, per tenere attive queste Polistes, oltre a un po’ d’acqua si usavano larve di tenebrionidi, in particolar modo di Tenebrio molitor, e si lasciavano ambientare per qualche giorno in zona.

Poi, l’esperimento entrava nel vivo. Si prelevavano singole vespe e le si tracciava sul dorso un punto colorato, sempre diverso, con un pennarello indelebile. Di quelli buoni per il modellismo, insomma. Poi si mettevano in queste piccole provette di vetro, tenendole orientate verso il nido e si iniziava a correre all’indietro, sempre tenendole orientate verso la cassettina, in maniera che le Polistes potessero mantenersi in contatto visivo col nido. Si aprivano le provette a varie distanze e si osservavano i tempi e le diverse modalità di ritorno delle vespe. Il lavoro era scrupoloso, ma era anche divertente.

Ovviamente, per raccogliere osservazioni scientificamente valide, bisognava ripetere l’esperimento in condizioni di clima, di luce e di vento costantemente variate. L’entomologia non è solo scienza per laboratori, insomma. Era tutto un correre: alle sette del mattino, con il sole, a sera avanzata, con il cielo coperto, a favore di vento, a cinquanta, cento, centocinquanta metri di distanza eccetera. Il fine era raccogliere e organizzare le osservazioni sul comportamento sociale di questi imenotteri polistini.

E mi ricordo… sì, mi ricordo che accanto a dove noi conducevamo gli esperimenti c’era questa donnina piuttosto cadente, una pena – guarda – che aspettava sempre seduta su una sedia vicino a una siepe. Mentre noi facevamo tutte queste corse, questa si prendeva ogni camionista, ogni passante, ogni persona che passava di là, insomma, e se li portava dietro la siepe. E mentre noi ci affannavamo di qua, loro sospiravano di là e certe volte, sì, insomma, berciavano anche un po’ e pensavo chissà se passa ora qualcuno e ci vede… qua ci prendono tutti per pazzi fuggiti. Meno male che di vespe là non ne sono mai sciamate. Però la donnina ci seguiva interessata – guarda – anche maliziosetta. Una volta che m’ero avvicinata un po’, l’ho sentita canticchiare: «Zon zon… ti porto i baci del fiore a te fedeleee, Zon zon… dammi il tuo mieleee. Dice che tu gli piaci e che piacerti spera, Zon zon, dammi la ceraaa…» e mi prendeva in giro con un gesto pesante della mano e il sorriso indecente rivolto al collega. Allora anche lui, ogni volta che l’avvistava, faceva l’ironico: «Occhio e lavora, che oggi controlla l’ape regina!».

Qui ora non faccio più ricerca. Non vengo per quello, insomma. Mi occupo di risorse umane per un’azienda tedesca che noleggia cassette in plastica per la frutta. Sai quelle da mercato, di plastica colorata… quando le recuperiamo, alla fine del ciclo, si stoccano, si lavano e si sterilizzano con procedimenti particolari, tipo la fumigazione dei container che importano dall’estero. Restare all’Università era un casino. Ho dovuto scegliere, insomma».

Written by antoniocelano

Maggio 7, 2011 at 10:38 am

Pubblicato su Senza categoria

Tagged with

N: Not in my backyard

leave a comment »

Stazione di Empoli. Balza sul treno un tipo atticciato, i capelli grigi corti e dritti, tre rughe profonde sulla fronte bassa, la pelle quasi un po’ cotta. Appena nei corridoi, lascia sedere l’amica cotonata e ossigenata che s’è portata dietro e finalmente, tra la gente che a quell’ora del mattino legge o dorme, bercia verso la porta: «Mauro! Mauro, c’è posto qui!». E mentre l’altro gli urla «ma che ti urli, arrivo!», lo aspetta, si siede e domanda alla compagna di viaggio: «Allora, la situazione in Giappone?». L’amica fa per rispondere, abbozza un gesto. Il tipo: «Mh… e la Giovanna, co’ i’ mmaggio, poi, l’è tornata?…». L’amica dice: «Beh, sai… la paura c’è stata… l’onda…». Il tipo tronca: «Mah! Io domani so’ in trattoria a Sovigliana e poidomani a mangiare a casa della Teresa, sai a Spicchio?».

Written by antoniocelano

marzo 31, 2011 at 4:18 PM

Pubblicato su Senza categoria

Tagged with

I: Imprenditore

leave a comment »

L’imprenditore-editore guarda a destra, poi a sinistra. Tace. L’imprenditore-editore piega il viso: la cravatta poggiata su un poco di pancetta, il ricamo enigmatico delle iniziali. Alza la testa, dice: «E questo è quanto. Per cui, per ora, nessuna novità. Dobbiamo aspettare le banche». Si stringe nelle spalle.

E all’improvviso la giacca di buon taglio dietro la scrivania in radica, l’Ardengo Soffici appeso alle sue spalle, la foto mentre stringe il padre nel segno della famiglia e della continuità, perfino il mappamondo illuminato con tutti i fusi orari, stridono. Stridono e contrastano con i nostri maglioni e pantaloni di mercato, con le unghie laccate delle amministrative, con gli sguardi di sottecchi dei sindacalisti, con i volti contratti delle rappresentanze tutte, riunite al capezzale dell’azienda.

Stridono e paiono cose aliene che irridono il quarto stipendio d’arretrato, le ombre dei colleghi in Cig straordinaria, la caldaia rotta che ha tenuto per la stagione fredda tutti coi cappotti e fosse solo quello. Stridono, contrastano, irridono, ma solo per un momento, ché tutto pare ghiacciato via da un silenzio talmente cristallino e trasparente che risucchia d’un tratto il brusio del traffico impazzito a cinquecento metri di distanza, e satura la stanza dell’ora di chiusura degli uffici.

Written by antoniocelano

marzo 11, 2011 at 10:55 am

Pubblicato su Senza categoria

Tagged with

E: Etica del lavoro

leave a comment »

«Mai ne cuntentamu. Lavoramu e lavoramu e mai ne cuntentamu. Pure ca nun ce manca nente, mai ne cuntentamu. Ed è ggiusto!»

(Colto dal dialogo tra due donne in treno poco prima della fermata Genova P.P., 2006)

Written by antoniocelano

febbraio 2, 2011 at 5:05 PM

Pubblicato su Senza categoria

Tagged with

X: Xeno

leave a comment »

Davanti, una strada. Tra i capannoni, dei pioppi. Nello slargo invaso dall’erba, una baracca. Assi appoggiate alle lamiere. Per porta una tenda. Dietro la tenda, mi pare, nessuno.

Fuori, un vecchio che scruta, a distanza, i miei possibili gesti. In mano un bastone. Marocchino, egiziano, somalo… vuol dire? Sembra venuto da un mondo più alto, la tunica scura, la fronte rugosa, le dita indurite. La mano al petto: «Ahmed», dice – e poi un rapido gesto d’invito.

Dietro la tenda, uno spazio. Sull’unico muro, una mensola. Per terra un baule, due sedie spaiate. Sulla tavola una fruttiera sbeccata. Sul portafrutta un’unica pesca appena avvizzita.

Attorno alla sfera, gravitati dal profumo, tre moscerini indolenti. Plutone, Xeno, Caronte. Mi chiedo, a un tratto, quanto avranno dibattuto gli astronomi su forma e grandezza di sassi così lontani. Mi chiedo se qui la domanda abbia un senso, se qui abbiano un senso – per dire – gli antichi Rudimenta di Alfergano.

Invece, sulla mensola, un Corano. Ahmed sorride con occhi d’antilope. Indica la sedia. Versa un bicchier d’acqua, mi invita al suo convivio.

Written by antoniocelano

gennaio 21, 2011 at 1:18 PM

Pubblicato su Senza categoria

Tagged with

B: Bandiere

leave a comment »

Le avevo già notate durante alcune feste e durante i giorni del Mondiale, ma non ci avevo mai riflettuto. Fin quando, quest’estate, tornando da Maratea, seguendo il lungovalle del Noce, ho visto due piloni di cemento dove la bandiera italiana era stata dipinta al contrario. Rosso, bianco, verde. E così molte bandiere – mi sono subito ricordato – appese alla finestra, esposte allo stadio, sventolate in mille occasioni.

Un caso, mi sono detto sulle prime. Ma poi quella sensazione di qualcosa che non torna, ché una bandiera è sempre qualcosa che serve a comunicare all’esterno e agli altri uno spazio, una fede, un’appartenenza, un simbolo, un progetto, al limite una rivendicazione… invece è come se l’appendessero non per esporla, ma per guardarsela. Per offrire, con occhi rovesciati e inconsapevoli, uno spettacolo involuto o dubitativo del tricolore. Come a dire nel migliore dei casi: “l’Italia è certo la mia casa, la mia famiglia, questo balcone, ma di più non so, non so per gli altri” o nel peggiore: “L’Italia è la mia schiera, è il mio orto, il mio clan, il mio interesse. E dunque la mia Italia è più della vostra Italia” magari segnalata dalla stessa bandiera a rovescio…

Forse è vero: vengono prima i nostri occhi che guardano dentro, prima il rosso della nostra carne che ogni giorno sopravvive, prima il nostro sangue sempre meno vivo. Tuttavia varrebbe la pena di attraversare il bianco del silenzio, raggiungere il verde di uno spazio condiviso.

Written by antoniocelano

novembre 3, 2010 at 12:49 PM

Pubblicato su Senza categoria

Tagged with