Antonio Celano

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Intervista a Antonio Petrocelli

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Questa intervista è stata pubblicata su «Il Quotidiano della Basilicata» il 23 Maggio 2010.

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«Innamorato della poesia»

 

Antonio Petrocelli autore de “Il cabarettista basilisco del cinema Scaturchio”

Antonio Petrocelli, attore di cinema e teatro, è nato a Montalbano Jonico nel 1953. Lo abbiamo incontrato in occasione della presentazione del suo ultimo libro Il caratterista basilisco del cinema Scaturchio (Hacca, 2010) tenutosi al cinema “Empire” di Torino in margine agli eventi presentati al Salone Internazionale del libro di Torino.

Antonio, tralasciando per una volta l’impegno teatrale e cinematografico, parliamo dei tuoi libri. Quali furono le ragioni dell’esordio con il libro Volantini (Calice Editori, 2001)?

In  verità ho iniziato con lo scrivere prima monologhi teatrali come Puzza di basilico. Però questo genere di testi comportano una reale differenza con quelli letterari, non fosse altro per il fatto che hanno bisogno di essere messi su una scena senza la quale la loro diffusione risulterebbe davvero ridotta.

E poi?

Beh, tenevo un diario su cui avevo annotato tutta la mia sofferenza di emigrato a Firenze e, con questa, tutti i miei sensi di inferiorità, la difficoltà di adattarmi a un nuovo ambiente, tra l’altro con rendimenti scolastici resi problematici anche dalla protesta montante del ’68. Nel diario, ovviamente, c’era anche la scoperta (che fu quella poi di tutta una generazione) di una possibilità di accesso alla cultura diversa e più larga.

Un diario che  hai poi dato alle stampe…

Sì, tanto che, con la prefazione di Adriano Sofri, è stato segnalato come uno dei due testi emblematici del ’68 su un numero di “Archivio dei Diari” 2008 dedicato all’argomento. Tuttavia all’inizio andò che, dopo averlo adeguatamente rilavorato, sentii l’esigenza di farlo vedere a un mio amico medico, Vittorio Agneta, il quale, lettolo, lo passò a Gianni Rondinone (allora all’Asl) che, a sua volta, lo fece vedere ad Antonio Placido (poi sindaco di Rionero). Questa singolarissima catena trovò poi un suo sbocco positivo quando la signora Maria Carmela Calice mi telefonò proponendomene la pubblicazione che ebbe, nel giro di un anno, nel 2002, una seconda edizione.

Tra Volantini e questo tuo secondo lavoro sono quasi passati dieci anni…

Sì, è vero, ma solo perché Il caratterista basilisco ha avuto una lunga gestazione. In realtà avevo iniziato a scrivere un testo, subito dopo Volantini, ispirandomi a Opinioni di un Clown di Böll. E infatti volevo dare al libro il titolo di “Pensieri di un caratterista”. Mi sono accorto, però, che non avevo nessuna intenzione di scrivere il diario di un attore. Di solito le biografie scritte dagli attori di cinema e teatro sono terribilmente noiose e narcisistiche.

Come hai proceduto sul piano stilistico, allora?

Imponendo una drammatizzazione del testo e un cambio deciso dalla prima persona alla terza, almeno per novanta dei cento pensieri che compongono Il caratterista. I restanti, per una precisa ragione narrativa connessa al finale, restano scritti in prima persona. E comunque si tratta di un libro che resta ricco di citazioni cinematografiche e molto vicino a questo mondo.

Nel frattempo, tra un libro e l’altro, ti sei dedicato anche alle traduzioni…

Intatto nel tempo mi è sempre rimasto l’amore per la lingua madre, il dialetto (e i miei monologhi teatrali, cui accennavo, in questa lingua sono scritti). Però un amore grande l’ho sempre manifestato pure per la poesia. Un doppio interesse che non poteva che farmi convergere verso la figura di Albino Pierro. Sinceramente penso anche di essere rimasto tra i pochi a proporlo e riproporlo alla memoria dei lucani e degli italiani. Comunque sia, nel caso specifico, ne feci una traduzione in italiano che potesse servire come testo di mediazione per una traduzione in olandese. La curatrice Silvia Terribili aveva infatti bisogno di una traduzione meno letterale e più libera di quella fatta già dallo stesso Pierro…

Tornando ai due libri, noto che uno dei due temi principali è la precarietà del vivere…

Sì, è vero. È un atteggiamento congenito al mio lavoro perché, ad esempio, finita la lavorazione di un film un attore non sa cosa farà il giorno dopo, quanto tempo passerà prima di lavorare di nuovo. Tuttavia a me interessava, ne Il caratterista basilisco, far venire a galla l’incertezza del vivere in maniera più oggettiva che in Volantini, fuori dagli egocentrismi degli attori. Tanto che il secondo titolo che avevo dato al libro prima dell’attuale era “Solide basi di incertezza”.

Un’ultima domanda, più generale. Come valuti il panorama culturale lucano di questi anni?

Chiedo pietà per la mia gente. La chiedo perché si rendano tutti conto della nostra condizione e reagiscano alla povertà culturale (anche nel senso dell’offerta) in cui versiamo.

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Written by antoniocelano

Maggio 24, 2010 at 12:41 PM