Antonio Celano

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Yoani Sánchez

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Questo articolo è stato pubblicato su «Il Quotidiano della Basilicata» il 15 Novembre 2009.

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La libertà sulle stampelle

La blogger Yoani Sánchez rapita e picchiata


È ormai di un paio di giorni fa la notizia del rapimento e del maltrattamento subito a Cuba dalla scrittrice dissidente Yoani Sánchez, ora ridotta alle stampelle. Tuttavia, proprio per questo, si può procedere a qualche riflessione in merito.

Ci sono persone, ci sono intellettuali che, meglio di altri, sono capaci di restituirci l’epoca che viviamo, la sofferenza o le difficoltà di un luogo, l’arroganza o la doppiezza di un potere. Apparentemente raccolgono fatti non necessariamente eclatanti, spesso nemmeno collegati nel tentativo di costruire una tesi, tuttavia sempre capaci di svelarci immancabilmente il puzzle complessivo di un sistema scellerato e dannoso. Uno di questi è Roberto Saviano. Non è un caso che Yoani Sánchez – come ha dichiarato – abbia pensato proprio a lui nel momento in cui la violenza si è abbattuta non solo sul suo corpo.

La giovane blogger avanera era saltata l’ultima volta all’onore delle cronache italiane lo scorso aprile, quando il regime castrista le impedì di recarsi a Torino per partecipare alla Fiera del Libro, dove avrebbe dovuto presentare, a maggio, il suo Cuba libre. Vivere e scrivere all’Avana, una raccolta (edita in prima edizione mondiale da Rizzoli) dei più significativi pezzi raccolti nel suo blog. Il che già dice la mancanza d’acume di un potere che avrebbe potuto lasciarla partire evitando di alimentarne il caso. Un surplus di attenzione e vigilanza internazionale che la camorra e Khomeini, con gli stessi macabri metodi, seppero suscitare rispettivamente anche per il già citato Saviano e per Salman Rushdie. Da parte sua la Sánchez, più volte attaccata direttamente da Castro, era ben cosciente del pericolo: «questa proprio è una grande sciocchezza – commentava – pubblico le mie opinioni su un blog che non nasconde né foto né nome». E la sua rete di appoggi all’estero stavolta non è riuscita a evitarle il peggio.

Yoani Sánchez è nata a Cuba nel 1975. Emigrata in Svizzera nel 2002 ha poi deciso di tornare nell’Isola, contro il parere di tutti. Per vivere ha insegnato illegalmente spagnolo ai turisti. Laureata in filologia si è poi appassionata di informatica unendo queste due attitudini in un cocktail di formidabile efficacia contro il regime di Castro e di suo fratello Raúl. Yoani fa parte di quegli avaneri che oggi abitano e rifiutano un’utopia non più loro, costruita con sacrificio da una generazione ormai anziana e impossibilitata a potersene scrollare di dosso il fallimento e il peso liberticida.

Tuttavia la scrittrice è una dissidente atipica che non porta le stimmate dell’eroina: non è una guerrigliera, non ha cicatrici sul suo volto allungato, non spara, non contesta, non denuncia (anche se qualche volta, come Gesù nel Tempio, mostra con fermezza il suo carattere). Yoani semplicemente racconta nel suo blog Generación Y cosa significa vivere ogni giorno nel regime comunista cubano. Lo fa con un uso preciso della parola che non è pietra pronta a colpire, quanto ricostruzione di fatti, circostanze, stati d’animo di fronte alla sofferenza, alla fame, alle aspettative di libertà tradite. È una scrittura al femminile, forte ma priva di coloritura ideologica, stesa con un linguaggio fatto di quotidiana disperazione, che il traduttore e curatore piombinese Gordiano Lupi sa rendere al meglio sulle pagine che «La Stampa» quotidianamente le dedica sul web e una volta a settimana sulla carta stampata.

Yoani iniziò a scrivere cosa vedeva e cosa pensava su un computer assemblato con pezzi di seconda mano recuperati al mercato nero. Poi, salvato tutto su memoria portatile, con grandissime difficoltà, si connetteva (a Cuba Internet è appannaggio quasi esclusivo dei funzionari del regime) per poter spedire i suoi post a chi poteva collocarli nel suo sito (in italiano: http://www.desdecuba.com/generaciony_it) che nell’Isola è oscurato. Oggi ci informa anche con l’ausilio di un telefono, ma il concetto di fondo è lo stesso.

Così ogni giorno veniamo a sapere che faticose avventure si possano vivere nel cercare un limone che possa alleviare un fastidioso mal di gola o di quanto sia difficile per le donne cubane procurarsi anche i pannolini per il ciclo. Veniamo a conoscenza dell’importanza del mercato nero e di come la repressione, colpendolo, scateni feedback economici devastanti che finiscono per consumarsi solo sulla pelle del popolo avanero. Di come a scuola vengano premiati i più ligi alle attività politico-patriottiche; di come le notizie debbano essere decrittate più servendosi del non detto che di quanto viene propagandato; di come i cubani siano ormai ossessionati dal cibo, dalle loro case che vanno giù a pezzi, da una voglia insana di fuggire per mare, nell’alcol, lasciandosi andare, addirittura chiudendosi in casa per evadere – così – da fermi.

La minuta Yoani ha combattuto insomma con un mezzo moderno, imprevisto e spiazzante per l’inadeguato regime, ma tutto ciò non sarebbe bastato se, a differenza dei dissidenti che l’hanno preceduta, la scrittrice non avesse scoperto un’inaspettata radura nel fitto del potere castrista. Uno spazio che è poi il punto debole di ogni potere che si assopisca senza più mettersi in discussione. E che dormendo (per dirla con Hobbes e con Neumann), si appare in sogno come il Leviatano – ordine e rigore assoluto – invece russando con la pancia elefantiaca di un Behemoth – il corpulento demone del caos.

Yoani era stata già richiamata pesantemente dalla polizia. Del resto poca cosa, commentò chi oggi crede che l’intellettuale cubana per far parlare di sé si sia inflitta da sola le ferite di cui soffre, e chi pensa che il regime dei fratelli Castro non sia così odioso come quello del vecchio blocco sovietico. Pure, anche così, resta netta la sensazione che i sostenitori occidentali del comunismo in salsa caraibica siano più preoccupati di difendere un baluardo della lotta contro i nemici statunitensi, piuttosto che essere convinti realmente dell’efficienza del regime. Loro, come i turisti presi dai secolari monumenti, non guardano le buche nelle vie, ma in alto, verso un cielo troppo lontano per qualsiasi cubano. E girano la testa quando la violenza di stato picchia per strada e tappa la bocca al giusto dissenso. Come i turisti, amano portare a casa solo il souvenir, magari carino, fatto per generare assenso e approvazione. Ma che, tuttavia, resta un balocco di scarso valore, come il potere che lo ha generato.

Resisti, Yoani.

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Written by antoniocelano

marzo 12, 2010 at 8:00 am