Antonio Celano

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Recensione a: Luigi Bernardi, Maddalena e le apocalissi (Senzapatria, 2011)

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Questo articolo è stato pubblicato su «Il Blog di Stilos» il 3 Dicembre 2011.

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È la guerra (anche nella sua versione terroristica) il tema che ispira i tre racconti checompongono l’ultimo libro di Luigi Bernardi, Maddalena e le apocalissi (Senzapatria, 122 pp., 10,00 euro): il conflitto come definitivo naufragio del genere umano. Nessun virus, nessuna caduta catastrofica di corpi astrali, nessuna fine di natura esogena, dunque, come in altre opere dedicate al genere (che pure in Italia sta avendo un suo discreto sviluppo). E nessun irrimediabile, lento esaurimento di risorse energetiche a causa di egoismi rapaci o necessità difficilmente eludibili. Una scelta, invece – quella dell’estensione su un piano epocale, di massa, del primitivo atto di Caino – forse non così casuale per chi, negli anni scorsi, ha battuto le strade del giallo e del noir.

E poi l’amore, la passione rivitalizzante che ingenera, capace di rivelarsi in un legame irrinunciabile, in una gioia della carne in mancanza della quale non può restare che l’esaltata distruzione definitiva o il suicidio (tanto da richiamare alla memoria alcuni aspetti del più sottilmente apocalittico Piattaforma, capolavoro di Michel Houellebecq). Certo nessun personaggio femminile ha nome Eva: impossibile ricominciare alcuna ricostruzione su una terra ferita da così troppo poco tempo. Più opportunamente le tre Maddalena che si muovono nei brevi di Bernardi sono testimoni della passione di Cristo (qui inteso come genere umano), ma pure protagoniste attive di un sentimento, l’amore, esaltante, benché dai risvolti mai rassicuranti, come la guerra.

Così i tre racconti, per un effetto caleidoscopico, si rincorrono sovrapponendo i temi e trasfondendosi l’uno nell’altro, pur mantenendo una certa differenza di ispirazione.

Il primo, «Solo il mare», è quello tra tutti che mantiene lo sguardo meno ruvido e più simbolico. Qui è un uomo che nel bel mezzo della guerra, come descrive con puntualità la presentazione, «gioca alla roulette russa con le bombe che cadono ogni sera attorno a casa sua». Ma ci si deve chiedere se una qualche traccia di distacco e indifferenza del protagonista non fosse già rintracciabile prima del sopraggiungere della catastrofe. Schermo infranto, come tutto il resto, dall’innamoramento che lo costringe a uno scenario altro, subacqueo, da fantascienza (un vero e proprio cambio di stato). Amore capace di trasmutare simbolicamente il protagonista, ricreandolo via dal mondo in una nuova condizione che gli impone di imparare da capo i movimenti, la comunicazione. Come un bimbo. Fino all’intervenire del gioco di vita e di morte che è la sopravvivenza, che impone ritmi di crescita impossibili da mantenere senza riportare danno.

«Il gioco di M.», invece, abbandona l’acqua per mettersi a scherzare con il fuoco. Anche qui si registra, come nel precedente racconto, una sottile angoscia e un abbrutimento che matura nel protagonista nell’attesa della donna, intanto sparita a seguito della richiesta formulatale un po’ per celia, un po’ per provocazione, di regalare «un 11 settembre» per il compleanno dell’uomo. Ma ecco che poi M., tenendo fede alla malaugurata promessa, riemerge in diretta tv durante una partita di calcio per regalare con gratuità e gioia il cadeau in forma di spropositato terrore. Che in definitiva si rivela solo l’ultimo di una serie di omaggi dotati di una loro fascinosa ludicità, priva di ogni ipocrita pretesa di utilità (come, appunto, spesso i regali). Un terribile e distruttivo dono che non potrà che essere follemente contraccambiato dal rigalvanizzato compagno.

«Fuoco sui miei passi», peraltro già proposto singolarmente da Senzapatria (ma nella raccolta, va detto, ha una sua forte coerenza), propone, infine, a ruoli ribaltati, la storia di un angelo cauterizzatore, un pompiere alla rovescia in un mondo a sua volta rovesciato dalla guerra (in cui persino gli ospedali sono diventanti caserme militari), omaggio un po’ al napalm di Apocalipse Now, un po’ alla distopia di Fahrenheit 451 (ma qui si bruciano cadaveri di uomini e animali). Qui la terza Maddalena, amante e complice, resta al fianco del suo eroe per portare a termine il progetto di radere al suolo con l’esplosivo un’intera città ormai in preda al nulla e alla follia, destinata a consumarsi con la stessa fulmineità scoppiettante di un ramo di ginepro (non a caso pure il cognome del comandante di caserma del protagonista). E proprio la donna porterà in salvo, in elicottero, il vendicatore di fuoco, tornando su quella battigia da cui si era partiti con il primo racconto, sul ciglio di una nuova vitalità della natura che, ridotta ai suoi essenziali elementi, come la leggendaria fenice, si scopre alla fine insopprimibile.

Dunque tutto chiaro, o quasi, sulla Maddalena del titolo. E tuttavia, per quanto concerne il concetto di apocalisse, per quanto riguarda i racconti di Bernardi, forse si sarebbe dovuto privilegiarne il significato più popolare di catastrofe, sia pure ultima (ma, come si è visto, con qualche speranza di sopravvivenza), in un senso anche banalmente conoscitivo, visionario: una descrizione dell’apocalisse in terra, un inferno che punisce tutti è che è già fuoco sulla carne, ben prima di un qualsiasi giudizio a venire nell’aldilà (in un filone che ha unito felicemente i Ballard ai McCarthy, tanto per citare due grandi).

Ma si farebbe torto al libro e, forse, all’autore, se non si dicesse che un’apocalisse è sempre meno una profezia che una rivelazione del fine, del disegno con cui Dio agisce nella storia. E a poco vale l’obiezione che il libro di Bernardi abbandoni l’uomo a una violenza priva di senso alcuno, se il dio di ogni libro è, in fondo, l’autore stesso. E Bernardi sarà anche un dio vetero-testamentario, magari compiaciuto del suo fare tabula rasa o francamente provocatorio nella proposizione di soluzioni «peggiorative rispetto al danno». Ma che qui si rivela più di tutto nelle sue idiosincrasie (una società dello spettacolo ormai insopportabile, per giunta accumulatoria ormai oltre il possibile, sclerotizzata, stupidamente classista, cinica, cannibale) così come nelle sue preferenze e simpatie. Come a dire l’uso della guerra, arma terribile ma pure liberante, come l’amore.


Written by antoniocelano

dicembre 3, 2011 at 8:11 PM