Antonio Celano

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3. Se (nel fiordo) la sera è la campagna

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È stato al momento di lasciare Geirangerfjord che mi ci sono impigliato, là restando, forse, per sempre. In fondo, avrei dovuto solo girare le spalle come un turista tra gli altri, un curioso – entusiasta, certo, dell’escursione. Invece, cos’è stato a trattenere un pezzo di me, cos’è stato a mutarmi?
“Campagna”. Al momento di lasciare il fiordo, improvvisa, ho intravisto questa parola trascorrere nel fitto dei pensieri. E mi ha sorpreso, perché non ci sono terreni aperti qua – mi son detto – solo lingue di terra, in qualche punto terrazzate, sicuramente curate, ma non coltivate. E non ho visto bestiame, pollame, animali da cortile; io, almeno.
Più tardi, a Bergen, avrei riflettuto sul bosco che può trovarsi anche appena fuori dal centro. A Stavanger che ci si può entusiasmare, sotto i graniti a strapiombo, per poche caprette; ghiotte delle piccole carote lanciate loro, dei brevi rapporti umani strappati al via vai delle imbarcazioni, di quel po’ d’erba che può imporsi alla roccia. E poi? In Toscana ho imparato che la campagna è anche tempo di villeggiatura e che questo aspetto là non mancava, soprattutto quando diradavano le case.
Ma, per me, l’archetipo della campagna è quello lucano degli anni Settanta. Quella è la campagna che mi scorre nel sangue, nella saliva, nel muco del naso, e così son risalito sulla nave, e tutto mi era parso senza un senso. Ed è stato nello sguardo ultimo lanciato di coperta per distacco, che ho colto che era la luce – non la terra – a dirmi quel nome. Era quella sera perenne a rendere brevi e ovattati i suoni e più dolci gli occhi degli animali alla stalla – io, solo coi miei nonni – mentre l’aria diffondeva afrori tiepidi, nostalgia e languori e solitudine. Era quella la penombra dove mi acquattavo e accartocciavo, dove era la pena a serpeggiare in quello spegnersi. Anche là, la campagna, in quell’ora, era per me come non saper decidersi, o reagire. O fare.
Antonio Celano – agosto 2019

 

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Written by antoniocelano

agosto 16, 2019 at 7:00 am

1. A Bergen c’è una chiesa di legno

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La chiesa luterana di Bergen (una delle “Stavkirke” diffuse un po’ in tutta la Norvegia) la trovo in un parco ai margini della città, protetta da un boschetto di faggi. La sua singolare struttura architettonica mi rivela quanta fatica abbia dovuto fare il processo di cristianizzazione in una terra così poco abitata, estrema e fredda per un proselitismo dai risultati davvero stabili. E, tuttavia, pure denuncia quanta resistenza abbia opposto il paganesimo norreno. Con il risultato di qualcosa di molto diverso da quello nostrano, alla fine sconfitto e sussunto residualmente in alcune pratiche religiose cattoliche. In Norvegia, credo, invece, abbia soccorso qualcosa di più, come una forza mai domata, dura come i ghiacci, ma vitale e, in certi casi prepotente: le fiamme e le scaglie dure del drago sui tetti e negli intarsi interni, le chiglie rovesciate delle navi vikinghe, i profumi sacri del faggio che si sentono aggirandosi per gli spazi angusti della costruzione.

Così ho pensato al cospetto di questa piccola, semplificata ed essenziale sede di culto recentemente ricostruita dopo un incendio a sfondo satanista/Black-Metal (probabilmente un altro intruso bicipite covatosi tra le ombre del puritanesimo e le pieghe della nostra modernità).

Antonio Celano (agosto 2019)

 

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Written by antoniocelano

agosto 12, 2019 at 11:40 PM