Antonio Celano

«La lupa che ci spiega la vita». Recensione a Cuore di Lupa di Pierre Jouventin

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Questa recensione è stata pubblicata con lo pseudonimo di Maurizio «Dodo» Voltolini nella rubrica Libri di «Diana» n. 9 del 22 maggio 2013.


 

Nel 1975, in Francia, una trasmissione televisiva si schiera contro il destino degli animali negli zoo mostrando filmati che ritraggono dei lupi in gabbia. Subito si moltiplicano le proteste dei cittadini contro la segregazione di quella specie animale. Di conseguenza, nessun direttore di parco animale osa più comprarne e, paradossalmente – ma dovremmo stupircene? –, proprio le reazioni degli improvvisati paladini della libertà animale rischiano di provocare l’eutanasia dei nuovi nati in cattività (che intanto non si possono più tenere o vendere ad altri zoo).

È così che, spinto dalla moglie e non ancora vigente alcuna legge contro l’adozione in casa di animali selvatici protetti, l’etologo ed ecologo Pierre Jouventin, allora direttore del CNRS francese, fa prelevare una cucciola di lupo dallo zoo di Montpellier. A tutta prima l’esperimento pare folle. Lo stesso Pierre confesserà solo molti anni dopo, al momento di scrivere il libro: “La mia formazione in ecologia e in evoluzione animale mi aveva insegnato che non si può capire un essere fuori dal suo ambiente naturale”. Invece, la convivenza, prolungatasi cinque anni all’interno del “branco umano” dei Jouventin, non solo rivela importanti aspetti dell’etologia della lupa chiamata, non a caso, Kamala (dal nome di una delle due “bambine-lupo” ritrovate nel 1920 nei boschi di Midnapore), ma finisce per aprire una lunga e profonda riflessione dell’etologo sulle radici animali dell’uomo e sul concetto di intelligenza. Con la sorpresa di ritrovare più corta la distanza tra il Canis lupus e l’Homo sapiens sapiens.

Tuttavia, ogni storia del lupo deve sempre fare i conti prima con quella della sua domesticazione. Con importanti rettifiche di quanto credettero sia Darwin che Lorenz sulle origini del cane, dato che le sequenze del DNA hanno oggi dimostrato, contro ogni evidenza morfologica, che cani e lupi mostrino tra loro differenze solo per lo 0,2% del patrimonio genetico, tanto da far vacillare alcune certezze classificatorie. Fatto sta che molte di queste differenze si è pure a lungo presunto risultassero da una maggiore intelligenza (concetto, del resto, già difficile da spiegare, frammescolato com’è di istinto, esperienza – cioè tradizione culturale – e astrazione logica) del cane, che invece ha solo il beneficio di stabilire meglio e più in fretta, grazie alla più lunga convivenza con l’uomo, “le associazioni tra un avvenimento e il vantaggio ottenuto per arrivare più rapidamente al risultato”.

Invece, sottolinea Jouventin, è proprio oltre ogni sovrastima antropomorfica (una volta decadute certe interpretazioni religiose sull’anima, il macchinismo animale cartesiano e recuperato dalla scienza il concetto di biòs greco) che si possono cogliere sorprendenti analogie tra uomo e lupo. In realtà, quest’ultimo pare abbia “un’organizzazione sociale modulabile in funzione delle circostanze” e una forte gerarchia recentemente riscoperte dai biologi, ma che i grandi popoli cacciatori amerindi e mongoli già conoscevano. Così come Charles-Georges Leroy, “intendente di caccia del re” e collaboratore dell’Encyclopédie, il quale, già alla fine del Settecento, esaltava il ruolo dei cacciatori sui temi della comprensione dell’intelligenza e del comportamento animali, sbeffeggiando invece “l’ignoranza dei filosofi da salotto e dei naturalisti da laboratorio”. Anche perché è proprio la caccia – questa volta dei lupi – a esaltare la grande capacità di coordinazione, cooperazione e complessa comunicazione gerarchizzata in grado di mettere a disposizione del branco le conoscenze acquisite e la condivisione delle prede. Un atteggiamento, soprattutto quest’ultimo, che le grandi scimmie, cacciando poco, raramente esprimono. Salvo, come è noto, l’uomo: che, tra l’altro, anch’egli bracca la preda per lungo inseguimento attraverso lo sviluppo della corsa di fondo.

Un peccato, dunque, che oggi Jouventin, in nome di una ritrovata immagine positiva del lupo, alla fine sia disposto a rimangiarsi alcune di queste evidenze, qualora il lupo, di recente tornato più consistente in Francia, cominci a sostituire alla caccia la più facile aggressione alle greggi. Fatto sta che, nonostante i distinguo di Jouventin (che cade pure in più di qualche contraddizione nello spiegare il rapporto tra politica locale e peso socio-politico degli allevatori), poco importa ai pastori che l’aggressione alle greggi siano compiute da lupi o cani rinselvatichiti i quali, comunque considerato il danno, provocano la richiesta di un allentamento dei vincoli protezionistici al di fuori dell’autorizzazione restrittiva di cattura concessa all’ONCFS.

Dal canto suo, l’etologo plaude a quel 76% di cittadini a favore della protezione del lupo contro “il profitto”. Ma davvero vorremmo che un così delicato problema fosse gestito proprio da chi sostituisce, alla rancorosa demonizzazione del lupo, una sua acquiescente idealizzazione, magari tanto scandalizzata dagli zoo quanto ignorante della ricaduta ecologica causata dalla definitiva scomparsa delle greggi nei campi?

Rece Jouventin

 

Written by antoniocelano

gennaio 27, 2017 a 4:29 PM

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